I primi europei ad entrare in contatto diretto con i Sioux furono due esploratori francesi nel 1660. Il nome che diedero a questo popolo nei loro resoconti viene dalla storpiatura della parola “Nadewa-issiù”, ovvero “Serpenti pericolosi”, come li chiamavano gli altri gruppi di Indiani. Erano divisi in tre Nazioni (ovvero insiemi di tribù) che chiamavano se stesse Lakota (i Tetons Sioux), Dakota (i Santee Sioux) e Nakota (gli Yanktons Sioux), parola che in lingua sioux (nelle tre varianti) significa “alleati”. I Lakota sono i più famosi.
Al tempo dell’arrivo dei bianchi, i Lakota dominavano le grandi pianure nella zona che ruota attorno alle Black Hills, le Colline Nere sacre per la spiritualità indiana, e occupavano i territori del Nord e Sud Dakota, del Colorado, del Wyoming, del Montana e del Nebraska. Erano suddivisi in sette sotto-gruppi o “sette fuochi” (Oceti sakowin in lingua lakota): gli Oglala (famosi per il loro ultimo capo Nuvola Rossa), i Sicangu (quelli di Coda Chiazzata, zio materno di Cavallo Pazzo, che però era oglala), gli Hunkpapa (quelli di Toro Seduto), i Minikonju, gli Itazipco, gli Oohenunpa e i Sihasapa. All’interno di questi “sette fuochi” vi era un flusso costante di scambi, matrimoniali o commerciali, e di alleanze periodiche in vista del raggiungimento di fini comuni.
I Lakota erano cacciatori nomadi e tutta la loro vita, dall’economia alla spiritualità, era strettamente legata alla caccia al bisonte. Prima del periodo delle guerre indiane, cioè fino al 1855, c’erano oltre 50-60 milioni di bisonti nelle Grandi Pianure, probabilmente divisi in quattro grandi mandrie che migravano da nord a sud e viceversa in ogni stagione. Ma la creazione da parte dei bianchi dei vari sentieri per la conquista del West (il sentiero dell’Oregon e il sentiero di Bozeman) divisero le mandrie e fecero loro cambiare gli itinerari delle migrazioni, costringendo anche gli indiani a spostarsi. Non solo, ma quando il Governo degli Stati Uniti decise di risolvere definitivamente la questione indiana, invitò i cacciatori bianchi ad abbattere quanti più bisonti possibile. Con la costruzione della ferrovia arrivarono addirittura centinaia di turisti in cerca di emozioni che sparavano dal treno uccidendo decine e decine di bisonti ogni giorno senza neppure recuperarne la pelliccia. Prima della fine del secolo i bisonti erano meno di un migliaio e la cultura indiana dava ormai gli ultimi sussulti di vita.
I Lakota vissero il periodo di massimo splendore tra il 1830 e il 1877, quando personaggi come Nuvola Rossa, Cavallo Pazzo e Toro Seduto riuscirono a tener testa ai Soldati Blu incaricati dal Governo di Washington di porre fine alla questione indiana a qualunque costo. Tra gli avvenimenti salienti di quel periodo vale la pena di ricordare la battaglia del Little Bighorn, dove il reparto del 7 Cavalleria guidato da Custer fu distrutto dai Lakota, riuniti per la prima volta insieme agli Cheyenne e agli Arapaho sotto la guida carismatica di Cavallo Pazzo.
Fu l’ultima vittoria indiana e l’unica vera sconfitta per gli Stati Uniti.
Con l’uccisione a tradimento di Cavallo Pazzo, avvenuta nel settembre del 1877 dopo che si era già arreso per garantire la sopravvivenza al suo popolo ormai ridotto allo stremo delle forze, si può considerare terminata l’epoca della resistenza dei Lakota. Ma i bianchi infierirono ancora e l’episodio gravissimo di Wounded Knee, in cui furono massacrati circa 350 indiani inermi, 230 dei quali erano donne e bambini, indica chiaramente che, al di là dei trattati di pace che venivano continuamente firmati e puntualmente disattesi, l’unica cosa che veramente interessava al Governo degli Stati Uniti era lo sterminio totale e definitivo dei nativi per impossessarsi dei loro territori, ricchi di oro, uranio e altre materie prime
I discendenti delle poche migliaia di Lakota sopravvissuti ai massacri del secolo scorso e a quelli, forse più subdoli, del secolo attuale sono oggi poco più di 50.000 e vivono suddivisi in 9 riserve sparse tra il Sud e il Nord Dakota. Le riserve godono di una sovranità limitata sotto il controllo e la direzione del Bureau of Indian Affairs, suddiviso in 13 uffici di zona in tutto il territorio degli Stati Uniti.
Nel 1934 i Nativi ottennero che le riserve avessero un’organizzazione propria, potessero eleggere il loro Consiglio tribale almeno in parte. Negli anni ’50, come reazione ed opposizione alla politica di Washington della “Termination act”, che cercava di far cessare gli aiuti economici destinati alle minoranze indiane nel tentativo di far morire pian piano le riserve e integrare definitivamente i superstiti, iniziò un periodo di dure lotte. Negli anni ’70 alcuni Nativi che si erano spostati dalle riserve alle città, diedero vita all’American Indian Movement, un movimento che cercava di sensibilizzare non solo gli stessi Nativi ma anche l’opinione pubblica ai problemi degli Indiani.
Tra gli avvenimenti più importanti nel lungo cammino della conquista dei diritti va ricordata la grande marcia su Washington nel 1972, chiamata “marcia dei trattati infranti”, organizzata per protestare contro il Governo che non aveva mai onorato i patti stipulati con le Nazioni indiane, e culminata nell’occupazione pacifica del Bureau of Indian Affairs.
Nel 1973 fu occupata con le armi Wounded Knee in segno di protesta contro il governo tribale della riserva oglala di Pine Ridge (dove vivono i circa 20.000 Oglala discendenti della tribù di Nuvola Rossa e di Cavallo Pazzo). L’occupazione, alla quale presero parte molti militanti dell’American Indian Movement, durò 93 giorni, ma alla fine l’esercito federale ebbe la meglio.
Nel novembre 1978 con L’Indian Freedom Religion Act i Nativi ottennero la libertà di praticare la propria spiritualità, ovvero il diritto di tornare alla spiritualità dei loro padri e di praticare i riti religiosi della loro tradizione, tra i quali uno dei più importanti è la Danza del Sole, resa famosa dal film “Un uomo chiamato cavallo”.
Nel 1978 fu effettuata la Longest Walk, ovvero la lunga marcia di protesta per la rivendicazione dei principali diritti dei Nativi, sempre calpestati dalla politica di Washington, e la restituzione delle Sacre Colline Nere, situate al confine occidentale della riserva oglala di Pine Ridge, ricchissime di oro, che rappresentano per i nativi quello che per un cattolico è San Pietro o per un musulmano La Mecca. Nel 1981 si ebbe un nuovo movimento di protesta che portò all’occupazione da parte di membri dell’American Indian Movement proprio di una parte delle Sacre Colline.
Nel 1990 i Lakota hanno organizzato una grande marcia della pace a Wounded Knee, in occasione del centenario di quel tragico massacro, e nel 1994 i capi di tutte le riserve indiane sono stati ricevuti da Clinton alla Casa Bianca. Ma ancora molto c’è da fare per il raggiungimento della piena sovranità da parte delle Nazioni indiane.
Attualmente nelle riserve lakota i tradizionalisti, ovvero quei Nativi che intendono ripristinare le usanze e le tradizioni dei loro padri, stanno cercando di ottenere di svincolarsi del tutto dal Bureau of Indian Affairs, che blocca più che agevolare lo sviluppo autonomo delle riserve e addirittura spesso anche l’effettiva distribuzione degli aiuti decisi dal Governo. Ma per ottenere questo è necessario che la Nazione Lakota venga riconosciuta tale a tutti gli effetti ed abbia quindi il riconoscimento di Nazione da parte di un Governo straniero. Grazie alle iniziative portate avanti dall’Associazione Wambli Gleska tutto questo sembra oggi un po’ meno lontano.
Le ultime notizie vedono i Lakota, insieme ad altri popoli nativi americani, combattere pacificamente a Standing Rock per evitare il passaggio di un oleodotto nelle loro terre sacre.